Frenesia di scenari (l'immancabile punto)

Il diamante che cercavo,
mi hanno detto fosse rotto,
alcuni altri sia un mondo,
altri ancora, costi troppo.

Dei tizi, lì nell'ombra,
sussurrano sia solo una leggenda,
un pò di vento fresco suggerisce "dagli retta",
ora un soffione passeggero,
 mi cattura senza voce.

Esco sul prato,
due chiocciole dicono strade di bava,
friniscono dei tali,
un pipistrello mi studia.

Il soffione,
mongolfiera obliqua,
decresce,
tocca gli steli, si mischia al verbo.

Rimango,
sulle zampe incrociate,
stampelle e gomiti sotto il collo,
e penso.

Rimango muto,
invischiato nel muschio finto,
nel fango dipinto,
in una palude di pretese e paletti.

Rimango,
scruto l'angolo,
tra due colline,
l'incertezza è senza fine.

Sottobosco di nuvola,
fresco di sabato,
bocca da domenica,
giardino d'estate.

Cane,
come un gatto,
come una mantide religiosa,
come un aquilone, senza guinzaglio.


Cane,
puzzo di pioggia,
le zampe intinte nel globo,
le orecchie piene d'ansia.

Uno, due , tre, quattro,
conta ancora che sei vivo,
uno, due , tre , quattro,
nasconditi bene o ti vedranno,

uno, due , tre , quattro,
copri il viso e non ringhiare,
uno, due , tre , quattro,
piangi piano, non barare.

Uno, due, tre , quattro,
adesso è l'ora di dormire,
sveglia presto a mezzogiorno,
mangia, imbocca, urla e strippa.

Sputa, impreca,
crisi, fuma,
incendia, inganna,
affanna, accenna.

Nascondi, pulisci,
lava le mani,
usa il sapone o muori domani.

Attendi, inventa,
vendi, spendi,
prendi i soldi e rompi i denti.

Alzati, esci,
bevi tutta la notte,
alzati, drogati, spaccati le nocche.

Esci,
delirio, niente e buchi neri.

Esci,
no rimango dentro,
e mi spengo col latte di mandorle.

Esci,
anzi rientra,
conta le ore,
chiama il dottore.

Mangia di più,
sei troppo magro,
trova un lavoro,
e dai gli esami per bene.

Mangia di meno,
ti verrà un infarto a scoprire chi sei,
chiudi a chiave,
butta la chiave.

Ricompra il lucchetto,
chiudi il lago,
il palazzo,
la bocca,
il santuario.

Nessun calmante calma,
nessun giorno illumina,
nessuna notte riposa.

Nessuno ti odia, nessuno ti ama,
sono solo ruscelli che annaffiano,
sei pianta, fiore, cactus.

Niente di nutre,
resta a seccare,
diventa portachiave,
forse decorazione,
magari tomba.


Ozio e odio l'ozio,
frenetico odio la frenesia,
m'innamoro del bosco ogni giorno,
mi perdo in un cespuglio,
inciampo,
sulle mie gambe,
fragili e scheggiate,
come il gambo di un gioco,
di distruzione.






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